martedì 11 novembre 2014

Che fine ha fatto la bella fotografia?

La cultura usa e getta dei social network sta portando al collasso il concetto di bellezza su tutti i livelli, toccando anche la fotografia, generando una distorsione percettiva stravolgendo quelle regole essenziali dell’estetica.


Abstract
Questa mia riflessione che vi propongo nasce dall’osservazione di alcuni episodi sull’utilizzo di immagini di bassa qualità nella comunicazione pubblicitaria.
Capita di vedere infatti immagini che ritraggono persone con inopportuni riflessi sul viso, cattiva disposizione delle luci, pessima postproduzione, elementi nelle inquadrature che “non servono” creando solo rumore visivo, improbabili posizioni dei corpi ecc. ecc.

Il problema in tutto ciò non è tanto la scarsa qualità delle immagini ma il fatto che i committenti, pur di risparmiare, si affidino a fotografi inesperti generando inconsapevolmente un trend visivo che viene assorbito dal pubblico e che nel proprio immaginario lo prende per buono.

Non solo. Succede inoltre che tali fotografi inesperti vengono considerati professionisti, addirittura artisti, e riescono a lavorare solo perché hanno in portfolio il lavoro fatto “per”.
E secoli di studi e creazione della bellezza vanno a puttane spingendoci sempre più verso “la grande bruttezza”.


Il potere del design
Chi dice che “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”?
Lo dice probabilmente chi crede che la regola sia trasgredire le regole, ma questo dovrebbe permetterselo solo chi è padrone delle regole.
La bellezza la assimilerei a una parola spesso usata impropriamente: design.
Perché, in barba a ciò che pensano certi artisti contemporanei, la bellezza va progettata e non improvvisata.


Regole trasgredite e amicizie
Trasgredire le regole per realizzare belle fotografie si può, ma occorre conoscere a monte le regole tecniche e compositive della fotografia stessa.
© Maja Daniels (rumori visivi / didattica Photo Polis)
Maja Daniels è una fotografa artista le cui immagini fanno discutere proprio per quel suo scattare senza regole. Inquadrature sbagliate, rumori visivi, piedi tagliati. Forse perché abile a coinvolgere committenti immersi nell’ignoranza visiva.

Ma dietro il successo di questi casi occorrerebbe conoscere quelli che sono i meccanismi di relazioni pubbliche intessuti con gli addetti ai lavori.
Perché molto spesso è la rete di conoscenze e non i meriti, la bravura, a far fare strada a qualcuno.
© Maja Daniels (rumori visivi / didattica Photo Polis)
Oliviero Toscani ritengo che non sia un bravo fotografo, tecnicamente parlando, ma conobbe in vacanza Luciano Benetton col quale entrò in sintonia e gli spianò la strada facendogli realizzare le immagini per le sue campagne pubblicitarie. Buone idee perché trasgressive, spesso a sfondo sociale e in questo fu pioniere in quanto iniettò nella comunicazione problematiche che nulla avevano a che vedere con maglioni e calzerotti colorati. Toscani riuscì a creare un valore aggiunto all’azienda facendo parlare di sé e dell’azienda. Galeotto fu l’ombrellone.


Estetica, questa sconosciuta
Chi ha studiato estetica al liceo sa di cosa parlo. I filosofi greci hanno gettato le prime basi sul concetto di bellezza che ritengo evergreen, intramontabili. Fondamenta che ogni progettista, ogni artista, fotografo, ogni produttore di qualsiasi oggetto, ogni manager di qualsiasi disciplina, dovrebbe tenerne conto.


Il progetto fotografico
La fotografia è comunicazione e come tale va progettata senza fermarsi dietro al solo progetto delle immagini che si intendono realizzare, ma organizzandone la loro collocazione (destinazione d’uso finale), la loro funzione e fruibilità, il loro futuro, la loro conservazione. Altrimenti sarebbero immagini inutili. Immagini che avrebbero una manciata di secondi di vita e poi dimenticate, perse nell’antro di qualche hard disk, nei secoli dei secoli. Anche se belle, purtroppo.


La grande bellezza
© Rodney Smith
La bellezza è matematica, è geometria, è proporzione. La bellezza è armonia e ritmo.
La musica è matematica. Immaginate se disegnassi a casaccio su un pentagramma le note musicali.
Nell’era classica i greci compresero bene quelli che sono i canoni della bellezza. Ricercatori del benessere fisico e mentale, i greci capirono che anche l’occhio, per trasmettere benessere alla nostra anima, esige un ordine che può essere dettato solo dal linguaggio geometrico.

I migliori graphic designer sanno che in un impaginato è meglio togliere che aggiungere elementi. Ogni qualcosa in più crea rumore visivo, interferenza, disturbo nella lettura.
Ma si tratta di bellezza funzionale. Ergonomia per la leggibilità.
La produzione visiva, ciò che realizziamo per essere visto quindi fruito da qualcuno come per le foto, non deve essere necessariamente essenziale come per la grafica.

Le immagini minimaliste, pulite, geometriche, monocromatiche o saturate vanno bene per la comunicazione su Instagram perché devono attirare l’attenzione in uno spazio ristretto di 4-5cmq per catturare followers.
Quando invece ci troviamo a poter inserire le nostre foto in spazi più ampi, possiamo baroccare, nel senso migliore del termine: dettagliare, fornire contenuti visivi più estesi pur restando vincolati alle regole tecniche e compositive.

È tutta questione di reticoli geometrici, di equilibri fatti di forme e colori. La “regola dei 2/3” è la base dei principianti perché c’è dell’altro. Rettangoli aurei, triangoli, cerchi, ellissi, spirale di Fibonacci e tanta altra roba che non sto qui a raccontarvi.

Il fotografo professionista è allenato ad osservare con una gabbia immaginaria impressa sulla retina, fatta di diagonali, mediane e forme geometriche inscritte e circoscritte. Anche per questo è un professionista. Perché ha sviluppato negli anni quel senso estetico tale da capire qual è l’inquadratura più giusta per creare armonia e ritmo in ciò che riprende.


Dignità alle immagini
Siamo in un periodo storico in cui si trascura il dettaglio, la professionalità è un optional. Con l'alibi della crisi economica il mondo intorno a noi si sta rivestendo di bruttezza. E proprio l’Italia che ha sfornato il Rinascimento, il Made in Italy e che ha il più grande patrimonio artistico-culturale che possa avere un Paese, dovrebbe tirarsi fuori da questo trend.

Istituzionalmente si dovrebbero rivedere i programmi didattici nelle scuole per affrontare in maniera adeguata e più seria l’educazione visiva, lo studio della storia dell’arte e dell’estetica. E, perché no, formare commissioni di esperti che diano una licenza di esercizio, una patente obbligatoria, un’abilitazione a chi voglia esercitare certe professioni come la fotografia. Specie se si intende utilizzarla per la comunicazione pubblica.

Se non altro, per ridare dignità alle immagini.

© Marco Maraviglia - tutti i diritti riservati



Nessun commento: